
La situazione del Telalavoro in Italia prima e dopo il COVID-19
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Il COVID-19 ha accelerato diversi processi, soprattutto quello della digitalizzazione del lavoro e molto più precisamente c'è stata l'accelerazione del telelavoro che poi si è evoluto in Smart Working; un fenomeno che fino ad ora non aveva avuto molto successo in Italia.
I dati dell'osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano ci fanno capire che è avvenuto un vero e proprio boom del telelavoro in Italia negli ultimi mesi. I numeri ci mostrano come il Coronavirus ha inciso e che prima della pandemia in Italia vi erano 570 mila smart worker, ma si notava già nel 2019 una crescita del 15% di questo nuova modalità di svolgimento di lavoro. Attualmente l'aumento è del 1050 % infatti gli smart worker stimati arrivano a 6,58 milioni. Questi numeri ci fanno capire molto più da vicino come l'organizzazione del lavoro sia cambiata nelle aziende italiane appena dopo l'inizio della pandemia.
Lo Smart Working ha coinvolto il 97% delle aziende, il 94% delle Pubbliche Amministrazioni e il 58% delle Piccole e Medie imprese.
I dati dicono a che a settembre, al ritorno delle vacanze, il numero dei telelavoratori è rimasto più o meno alto: 5,06 milioni.
In più secondo le stime del Politecnico di Milano riguardante i lavoratori agili, si nota che almeno in parte lavoreranno da remoto, più precisamente saranno complessivamente 5,35 milioni di cui 1,72 milioni nella grandi imprese, 920 mila nelle PMI, 1,23 milioni nelle microimprese e 1,48 milioni nelle Pubbliche Amministrazioni.
Quando la pandemia finirà, o almeno tutti ci auguriamo, il 70 % delle grandi imprese aumenterà le giornate di lavoro a distanza, i telelavoratori passeranno dal lavorare in media un giorno a 2,7 giorni alla settimana. Inoltre, una impresa su due, modificherà gli spazi fisici. Si prevede anche che nelle PA saranno introdotti progetti telelavoro per il 48 %, ci sarà un aumento vertiginoso del 72% delle persone coinvolte e si lavorerà da remoto in media 1,4 giorni alla settimana che corrisponde al 47 % in più rispetto giornata media attuale.
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Però la pandemia ha dimostrato agli italiani che questa nuova modalità di lavoro è possibile nel nostro paese, anche se esistono ancora vecchi paradigmi da rivedere, infatti il coronavirus ha evidenziato anche l'impreparazione delle imprese, il ritardo tecnologico che esiste e non solo. Più di due grandi imprese su tre ha dovuto equipaggiarsi di PC portatili, ha dovuto incrementare del 65 % gli strumenti software del 69 % e altri strumenti per poter accedere da remoto agli applicativi aziendali.
In più, tre PA su quattro hanno dovuto incoraggiare i telelavoratori ad utilizzare apparecchiature personali per svolgere il proprio lavoro e il 50 % delle PMI non ha potuto telelavorare in mancanza di risorse tecnologiche adeguate. Altro problema che è emerso in Italia, è stato il fatto di non riuscire a mantenere un equilibrio fra vita privata e lavorativa per almeno il 58 % delle aziende grandi e il 28 % dei lavoratori. Per di più, il 33 % delle imprese non aveva manager abbastanza competenti da poter gestire al meglio il lavoro da remoto.
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Ciò nonostante, questa tipologia di lavoro ha aiutato le imprese italiane a migliorare le competenze digitali dei dipendenti, numeri alla mano più o meno sono stati il 71 % nelle grandi imprese e il 53 % nella PA. Anche ripensando ai processi aziendali e di abbattere pregiudizi sul lavoro agile dando così una svolta irreversibile nell'organizzazione del lavoro in Italia.
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Più nello specifico si può notare analizzando l'ultimo report dell'Istat "Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19”, emerge che nel corso del lockdown, le imprese hanno maggiormente optato per la fruizione di Cassa Integrazione, Fondo Integrazione salariale, l'obbligo di utilizzare le ferie, la riduzione delle ore di lavoro ed infine lo Smart Working. Questi sono stati gli strumenti più utilizzati per far fronte agli effetti negativi dell'emergenza.
Le analisi dell' Istat fanno emergere come la quota di personale in lavoro da remoto sia aumentata notevolmente rispetto ai mesi prima del lockdown. Nei mesi di gennaio-febbraio 2020 la quota era dell' 1,2 % per poi passare a marzo-aprile all'8 %. Invece nei mesi di maggio-giugno ha iniziato a calare arrivando al 5,3 % però restando una percentuale significativa per le medie e grandi aziende italiane.
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Sempre secondo i numeri analizzati dall' Istat, il numero di telelavoratori è collegato alle dimensioni delle imprese italiane. Infatti sono quelle medie e grandi che hanno registrato un incremento importante del personale in modalità agile : fra gennaio e febbraio il personale dipendente che lavorava da remoto era il 2,2 % (medie imprese) e 4,4 % (grandi imprese) per poi arrivare a marzo-aprile che contava il 21,6 % e 31,4 %. Le percentuali invece cambiano se si considerano le micro e piccole imprese italiane perché hanno introdotto lo Smart Working solo per il 18,3 % (micro) e 37,2% (piccole), rispetto comunque alle percentuali della medie e grandi imprese che risultavano del 73,1 e 90 per cento.
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Oltre a quanto già detto, in Italia il telelavoro ha cambiato l'organizzazione del lavoro e ha interessato i seguenti settori: i servizi di comunicazione, l'informatica e l'informazione, le attività scientifiche e tecniche, l'istruzione, la fornitura di energia elettrica e gas. Come si può notare dai report dell'Istat i motivi di questo cambiamento son attribuibili al fattore tecnologico, alle modalità di organizzazione e anche alla capacità da parte delle aziende italiane di far fronte agli effetti negativi della pandemia. Infatti come detto prima i dati ci fanno capire meglio come i settori più coinvolti sono i servizi di informazione e comunicazione, che sono passati dal 5,0 % al 48.8 %, le attività professionali scientifiche da 4,1% al 36,% e il settore dell'istruzione ha avuto un aumento di 30 punti rispetto gennaio-febbraio, passando da 3,1% a 33,%.
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La continuità aziendale è stato un fattore trainante per riuscire a riorganizzare il lavoro tramite la modalità da remoto, in effetti il 65,2 per cento delle imprese italiane non ha chiuso durante le restrizioni oppure è riuscita ad aprire in prossimità del 4 maggio.
Il telelavoro è più diffuso nei paesi del nord Europa
Persone che hanno lavorato in telelavoro un giorno a settimana nei 27 paesi europei (2018)
Il 9% la media europea di persone che ha lavorato almeno una volta a settimana a casa nel 2018.

Paesi come Islanda, Norvegia, Finlandia e altri Stati con economie altamente terziarizzate come Paesi Bassi e Lussemburgo hanno i livelli di telelavoro più alti in Europa. L'Italia al contrario si posiziona tra i paesi che utilizzano di meno il lavoro da remoto. Effettivamente, nel 2018 il 7 % degli italiani dichiarava di aver lavorato almeno una volta a settimana a casa, secondo i dati di Eurostat.
Anche nei Paesi dell'est si può riscontrare lo stesso dato dell'Italia (esempio: Romania, Croazia ecc).
In Italia il 39,3% ha lavorato da casa per la prima volta con la pandemia
Percentuale di occupati che hanno lavorato a distanza per la prima volta a causa del Covid-19, nei paesi Ue.
Dai dati emerge come il trend italiano (36,8%), sia di poco superiore alla media europea (36,5%).

In Italia nel 2015 solo lo 0,5% degli occupati era in telelavoro
Percentuale di occupati mobili o in telelavoro, nei paesi Ue (2015).

Le analisi dell'Istat
Dopo la fine del lockdown le imprese si sono ritrovate senza liquidità e secondo gli studi dell'Istat questa assenza è dovuta alle dimensioni delle aziende. Sicuramente gli effetti negativi dell'emergenza sono andate a discapito delle micro e piccole imprese, perché si sono ritrovate davanti a rischi maggiori. Infatti come emerge dai dati tutto è basato sulle strategie messe in campo dalle aziende alla chiusura delle proprie attività. Infatti la scelta delle imprese è stata quella di riorganizzare gli spazi del lavoro e per le attività rimaste aperta la strategia preferita soprattutto dalle grandi aziende è stata la digitalizzazione. Il passaggio che ha cambiato radicalmente l'organizzazione del lavoro è stata la connessione virtuale interno ed esterno al luogo di lavoro. Infatti le imprese italiane hanno continuato ad operare anche durante il lockdown.
Le rilevazioni Istat mostrano come lo Smart Working non sia un elemento negativo per l'economia del Paese, anzi il suo utilizzo risulta potenzialmente positivo per gli esperti. Come mostra l' Osservatorio conti pubblici italiani, in Italia il telelavoro è stato essenziale per riuscire a mantenere aperti una varietà di servizi. Sicuramente i vecchi paradigmi sono stati abbandonati per lasciar spazio ai nuovi valori essenziali che ci offre questa nuova modalità di lavoro. I benefici sono stati molti come per esempio l'aumento della produttività e una maggiore efficienza nelle aziende. Secondo degli studi effettuati all' Università Bocconi di Milano, i lavoratori in smart working hanno aumentato la propria produttività rispetto a quelli che lavorano ancora in modo tradizionale. Quindi si prospetta per il futuro secondo questi studi, un progressivo miglioramento nel tempo delle nuove condizioni lavorative. Anche i telelavoratori sembrano soddisfatti di questa nuova modalità di lavorano e dichiarano di avere un alto grado di concentrazione, sono più in grado di prendere decisioni e apprezzano di più le loro attività quotidiane.
Però gli studiosi affermano che quello che è stato fatto in Italia non è un vero e proprio smart working, piuttosto si è trattato di un lavoro da casa.
Secondo una ricerca OCSE, i lavoratori che hanno svolto un'attività non effettuabile a distanza, rappresentano una categoria economicamente più vulnerabile rispetto ai telelavoratori. In più, secondo l'Istat, i dati mostrano come i benefici che ha apportato il telelavoro alle aziende italiane, oltre alla produttività, risultano anche la riduzione dei costi di gestioni fisica degli spazi di lavoro come per esempio gli affitti di locali o uffici. I benefici riguardano anche le utenze e le manutenzioni dove le imprese italiane sono riuscite a risparmiare, che corrisponde quasi al 30 %.
Inoltre, nel corso del Covid-19 l'utilizzo del telelavoro in Italia è aumentato in modo vertiginoso rispetto al periodo pre-pandemico. Bisogna notare che l'utilizzo di questa nuova modalità di lavoro è stata principalmente utilizzata da parte delle medie e grandi aziende. In effetti dal punto di vista economico hanno subito meno perdite economiche rispetto alle imprese di piccole dimensioni. Secondo l'Istat le micro e piccole imprese, sono state più esposte alle perdite economiche perché hanno dovuto sospendere le loro attività lavorative e di conseguenza è calata la loro domanda. Secondo le analisi effettuati dall'Osservatorio Cpi, emerge che il lavoro agile pur con dei limiti, è riuscito in Italia a costituire un modo per ripresa economica del Paese.
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Sempre analizzando i dati dell'Istat, l'Italia può essere considerato uno dei casi studio perché è stato uno dei paesi più colpiti dal coronavirus ed è stato anche uno dei primi paesi a bloccare le attività economiche l'11 marzo. Bisogna però dire che in Italia non tutti i lavoratori hanno avuto parità di trattamento e pari protezione sociale, anzi i lavoratori precari sono stati quelli meno protetti. Gli studiosi ( Francesca Carta e Marta De Philippis, 2021) che la pandemia non ha avuto un effetto equo sui lavoratori italiani. Secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro, nei primi tre semestri del 2020, gli occupati che possono utilizzare la modalità a distanza sono pari al 36 % del totale. Per il lavoro da remoti i dati ci mostrano come ci sia una quota maggiore tra i dipendenti rispetto ai lavoratori indipendenti ( liberi professionisti, imprenditori).

Secondo un'indagine effettuata da un collaboratore dell'Istat, in Italia un campione di lavoratori ha lavorativo in modalità agile e ha analizzato le conseguenze dei passaggi rispetto a tre fattori che sono: organizzazione del lavoro, qualità del lavoro ed equilibrio tra vita professionale e lavorativa. L'analisi mostra come il 61 % dei laureati lavorava da remoto, per contro scende al 33 la percentuale dei lavoratori diplomati. In più, i lavoratori con un reddito molto elevato hanno più possibilità di lavorare in modalità smart working e invece quelli con redditi bassi hanno una probabilità minore di lavorare da casa. Ma questo non è tutto, infatti dai dati emerge chiaramente una discrepanza nella distribuzione del reddito in Italia e negli status contrattuali. Per quanto riguarda il primo punto gli individui che possono lavorare da casa solitamente sono pagati di più rispetto a quei lavoratori che non possono. Per quanto riguardi i lavoratori a tempo determinato, sono concentrati in professioni che non posso essere svolte in modalità telelavoro. In Italia infatti sono stati colpiti quasi due milioni di lavoratori dall'emergenza sanitaria e di conseguenza sono più vulnerabili ad essere disoccupati.
Secondo altre ricerche risulta che quasi tutte le aziende italiane, hanno reagito allo stesso modo nel periodo del Covid-19. Il 96% delle imprese italiane ha reagito indipendentemente delle dimensioni e dell'area geografica, utilizzando il telelavoro. L'utilizzo del lavoro agile è stato uguale sia per le imprese ad alto e basso contenuto tecnologico ed è stato quasi del 75% del personale. Bisogna anche sottolineare che prima della pandemia le imprese a basso know how tecnologico utilizzavano di più lo smart working rispetto alle aziende che possiedono delle tecnologie più avanzate.
I manager italiani percepiscono le loro imprese come pronte ad utilizzare la modalità del telelavoro per almeno il 50% del loro personale. In più, il clima percepito dalle imprese italiane è che loro già prima della crisi si sentivano già pronte o stavano per lo meno sperimentando alcune forme di lavoro da remoto. Si può dire attraverso i dati che il 77% delle imprese italiane era già disposto ad utilizzare la forma dello smart working per almeno la metà del loro personale. Infine, tra le imprese che non avevano sperimentato il telelavoro prima della crisi, il 44% però era già equipaggiato per poter svolgere l'attività lavorativa a distanza dopo le prime misure restrittive dovute alla pandemia.
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